INTERVISTA AD ALESSANDRO CALASCIBETTA

Le colonne “En Vogue” e “Schema libero” sono ormai immancabili appuntamenti settimanali con Alessandro Calascibetta e lo stile maschile che racconta, descrive, approfondisce con eleganza e grande sintesi, pur non trascurando particolari e riferimenti al mondo dell’arte o del cinema. Seguire il suo profilo Instagram significa vivere sul set dei servizi fotografici che realizza per le riviste RCS di cui è responsabile della moda uomo, ma anche recuperare preziose immagini del suo archivio personale raccolto nell’arco di una carriera prestigiosa: gli esordi nella redazione di “L’uomo Vogue”, gli anni da fashion director di “Harper Bazaar Uomo” e poi “Uomo”, la rivista che ha fondato e diretto fino al 2003. E ovviamente non poteva mancare il web: TheMenIssue.com è la pagina su cui ciò pubblicato sulla carta vive nuova vita ed incontra nuovi lettori. Prima della full immersion nella moda della prossima primavera/estate, abbiamo il piacere di fargli qualche domanda.
Tra pochi giorni inizierà Milano Moda Uomo, come sta la creatività italiana?
Sta benissimo quella emergente, anzi, non è mai stata meglio; invece le firme italiane consolidate che sanno evolvere sono poche, pochissime: da una parte è giusto perché altrimenti destabilizzerebbero i loro compratori che in questo moneto hanno bisogno di certezze; da un altro punto di vista, lascia un po' di amaro in bocca. In questo i francesi e i giapponesi sono più bravi.
Quali sono, dal punto di vista di un osservatore privilegiato con grande esperienza, le chiavi di successo della moda italiana e quali i suoi talloni d’Achille?
La forza del made in Italy è la produzione e l'altissimo livello degli artigiani del tessile e della confezione. La nostra debolezza è che non ci sentiamo mai all'altezza e ciascuno guarda "al suo" trascurando il fatto che, se la nostra moda fosse più unita, sarebbe anche molto più competitiva. Ma questo è un difetto dell'Italia, non della moda.
Oggi le case di moda, attraverso i social network, comunicano le notizie direttamente anche ai non addetti ai lavori, che possono perfino scoprire live le collezioni grazie allo streaming, è cambiato il senso della notizia di moda prodotta da un giornalista?
Vero: oggi chiunque può seguire in tempo reale ciò che prima vedeva solo la stampa specializzata e i buyers. I social sono un mezzo straordinario che ha rivoluzionato la comunicazione: puoi leggere una notizia su Facebook o su Twitter e seguire le sfilate e gli eventi con Instagram. Proprio per questo il nostro compito è quello di approfondire e andare oltre la "news" e l'istantanea, descrivendo - e non giudicando - quello che vediamo attraverso le informazioni che il destinatario non è in grado di cogliere da una foto, o da una riga che lancia una notizia. Tuttavia, c'è un'immensa differenza di percezione tra chi assiste a una sfilata in streaming e chi è sul posto: il fatto di essere presenti è un valore aggiunto che da l'esatta definizione di quello che vedi (dal vivo) e di quello che vuole trasmettere il designer.
Qualche mese fa Suzy Menkes tuonava contro quello che lei definiva “il circo della moda”. Secondo Alessandro Calascibetta esiste davvero? È un fenomeno così ingombrante?
"Il circo della moda". Ma quante volte l'abbiamo già sentita? E per quanto ancora? Vien da dire "circo" perché al circo ci sono i pagliacci e nella moda i clown non mancano: c'è quello/a che "si veste da" e quello/a che "si comporta da", ma si sa la moda - per sua definizione - è anche esteriorità e quel che si vede da fuori sembra peggio di ciò che è. Ma: i pagliacci ci sono dappertutto. Guarda la politica, il calcio, il design e l'arte, per non parlare dello spettacolo. E anche nei tribunali e nelle sale operatorie c'è tanta gente ridicola. Non "si vestono da" ma "si comportano da". Perciò basta con questa storia che la moda è un circo: ognuno viva nel circo in cui ha scelto di vivere senza farla tanto lunga.
Cosa fa di un giornalista un bravo professionista? Un consiglio per i giovani che vogliono intraprendere questa carriera?
Guardare, capire, descrivere, raccontare. Chi dice che vanno espressi dei giudizi sbaglia, e sbaglia tanto. Prima di tutto perché la gente che ci legge non è stupida e sa decidere da se cosa gli piace e cosa no, e poi perché una collezione può essere meno di successo di quella precedente: capita. Ma non è una buona ragione per scagliarsi contro il lavoro di uno stilista e di tutto il suo team. Mi chiedi un consiglio.....ci sarebbe tanto da dire; forse la cosa più importante è quella di non accontentarsi mai di se stessi, di avere una forte capacità di autocritica. E poi: non dimenticare mai di verificare le fonti quando si scrive di fatti ai quali non siamo o non siamo stati presenti. Infine: SINTESI.
Andrea Vigneri
Foto di Luigi Miano