FABIANA FIEROTTI, DA STAGISTA A FASHION DIRECTOR

A volte si può entrare in una redazione come stagista e in pochi anni diventare fashion director. Così è stato per Fabiana Fierotti: "Pig Magazine" è stata una grande esperienza formativa che in breve si è trasformata in una proficua occasione lavorativa. Di mezzo ci sono l’impegno, la dedizione e anche l’umiltà di apprendere, condizioni necessarie per chi aspira ad una carriera nell’editoria. Il tutto deve essere condito dall’intraprendenza, la capacità di valutare l’ampliarsi dei propri orizzonti e cercare nuovi spazi, come Fabiana che, così giovane, scrive su “L’Uomo Vogue”, “Grazia.it”, “Il Fatto quotidiano” e condivide con noi la sua esperienza.
Oggi è difficile essere giovani e avere già archiviato esperienze lavorative importanti come nel tuo caso, ci puoi raccontare come hai iniziato la tua carriera nel mondo della moda?
E' iniziato tutto nel 2007, con uno stage da PIG Magazine. E' stata un po' la mia culla, ho imparato tanto grazie ai miei colleghi e soprattutto grazie ai continui stimoli che una rivista indipendente come questa porta con sè. Dopo tre anni e mezzo passati in redazione, nel 2011 ho deciso che era arrivato il momento di "spiccare il volo" e guardare anche ad altre pubblicazioni e così ho iniziato ad inviare il mio CV per capire quali opportunità riuscissi ad avere in un momento difficile come quello. E' così che ho conosciuto Gianluca Cantaro, caporedattore de “L'Uomo Vogue” che mi ha subito messa alla prova e inserita nel team di collaboratori fissi della rivista. Una vera conquista per me e una grande soddisfazione. Da questo punto in poi le altre collaborazioni sono quasi piovute dal cielo: “Grazia.it” mi diverte moltissimo perchè ho l'opportunità di visitare posti splendidi ed entrare a contatto con realtà in cui la moda più sperimentale è in pieno fervore. Poi c'è “Il Fatto Quotidiano” online che costituisce per me, oltre che una bella sfida, un primo passo verso un giornalismo diverso che abbracci oltre la moda, anche il costume, la società.
Su “L’Uomo Vogue” ti occupi di moda maschile, cambia il modo di raccontare la moda rispetto a quando ci si rivolge al pubblico femminile?
Devo ammettere che la mia esperienza nel mondo della moda maschile era davvero esigua quando sono arrivata da “L'Uomo Vogue”. E' per questo che ho iniziato a documentarmi voracemente sui libri e su internet, perchè mi piace essere sempre competente delle materie che tratto. Avere a che fare con un pubblico maschile è certamente una sfida. Le donne sono abituate a parlare e a vivere la moda, gli uomini la maggior parte delle volte devono essere "educati" ad apprezzarla. Certo, gli uomini italiani in questo caso hanno una marcia in più ed è a loro che ci rivolgiamo maggiormente, fornendo dei consigli di stile, ma anche intervistando personaggi che possano coinvolgerli di più.
Per lavoro hai avuto occasione di incontrare ed intervistare personaggi importanti, c’è qualcuno che ti ha colpito più degli altri o hai trovato particolarmente ispirante per te stessa?
Direi Ennio Capasa e Nicola Formichetti, per due motivi diversi. Con Capasa ho avuto modo di fare una chiacchierata sul suo passato, la sua formazione, la sua esperienza in Giappone al fianco di Yamamoto. E' stato davvero affascinante conoscere particolari della sua vita che ignoravo e seguire il suo percorso formativo fino a Costume National, trovando una persona sempre e comunque con i piedi per terra, dalla personalità pragmatica e coinvolgente. Formichetti invece mi ha davvero colpita per la sua estrema disponibilità e la sua dinamicità: a soli 34 anni riesce a gestire una vita che si divide tra New York, Parigi, Tokyo e un milione di lavori diversi. Davvero ammirevole.
Quando prepari un servizio nella veste di stylist come procedi? Parti da ciò che vedi nelle collezioni o dalla storia che intendi raccontare? Qual è il mondo iconografico che più ti ispira?
Lo styling è per me più un gioco che un lavoro vero e proprio. Il mio lavoro e la mia preferenza vanno senza dubbio al giornalismo. Quando mi trovo a scattare un servizio ci sono alcuni punti base fondamentali: lavorare con un fotografo che mi dia dei nuovi stimoli e che preferibilmente usi una macchina analogica (ho un'ossessione per la pellicola). Poi tutto nasce a prende forma da una storia. I miei servizi tendono ad essere più cinematografici che fashion, mi piace esplorare epoche passate e ricongiungerle al presente, giocare con il vintage e con il nuovo.
Web e riviste ritagliano sempre più spazio allo streetstyle, come ti spieghi questo grande interesse da parte dei lettori?
Sinceramente? Non me lo spiego. O meglio, capisco che lo streetstyle possa essere un'ottima fonte di ispirazione per chi vuole prendere spunto da un outfit, però mi sembra troppo riduttivo, nonché troppo inflazionato al giorno d’oggi. Bill Cunningam era ed è un vero genio dello streetstyle ed ogni imitazione, soprattutto se in serie, non credo abbia senso.
Andrea Vigneri